La truffa
MAGGIO 1945
Al "Picci" di Bromia, frazione di Montoggio, grande bevitore e talentuoso giocatore di bocce a tempo pieno, oltre che "camallo" nel porto di Genova a tempo perso, era giunta la notizia di una gara di bocce in Santa Maria del Porto, manciata di case sopra "Brigneiu" (Brugneto) il futuro lago della provincia di Genova. L'evento era programmato per domenica successiva, con ricco montepremi: 2 galline ovaiole per il terzo classificato, un gallo canterino per il secondo e una pecora grassa come primo ambitissimo premio.
In quei giorni si festeggiava la conclusione dell'invasione tedesca e la vittoria partigiana ma la miseria non era affatto cessata e, dunque un po' di carne avrebbe riempito la pancia e ridotto l'appetito, almeno per qualche giorno.
Arrivarono così agli organizzatori molte richieste di iscrizione compresa quella del "Picci" che oltre ad essere un ragguardevole testa di ca**o era pure l'unica ed incontrastata testa di serie. Sicché, quando lo videro arrivare sul posto, in quella limpida domenica di Maggio, a cavallo di un vecchio ronzino, compresero che le speranze di vincere il torneo ed aggiudicarsi il trofeo carne si assottigliavano e preoccupati, andarono a protestare vivacemente con gli organizzatori.
Dopo una lunga ed estenuante discussione si trovò un accordo: gli avversari del "Picci" avrebbero beneficiato di un abbuono di tre punti all'avvio di ogni partita. E così fu. I trofei furono esposti in bella evidenza, la pecora legata ad un albero e i polli dentro una voliera, poco distante dal campo di bocce. Intanto si era sparsa la notizia, nelle borgate circostanti, che il "Picci" era li, in carne ed ossa, a giocare. Giunsero spettatori e tifosi a piedi e a cavallo da tutta la zona, non mancavano neppure quelli di Rovegno che lo avevano visto, il 25 Aprile, proprio in Val Trebbia vincere dieci partite di fila. Il "Picci" quella mattina nonostante l'handicap, non sbagliò una bocciata e le due performances venivano accompagnate da scroscianti applausi e, ad ogni partita vinta, l'Alfredo, noto suonatore di fisarmonica, metteva in funzione la sua "Settimio Soprani" per un breve ritornello.
A mezzogiorno l'oste del paese interruppe la contesa per dar modo ai partecipanti di rifocillarsi con quel poco che aveva recuperato dalla cambusa: un po' di formaggio, una dozzina di uova sode, un salame, una damigiana di finto vino e del pane grigio come la terra. Intorno ad un tavolaccio tutti si misero a mangiare, a bere e a cantare.
Nessuno poteva immaginare che quella giornata di festa si sarebbe trasformata in una immane tragedia. Infatti, dopo una buona mezz'ora di intervallo, un bambino intento a giocare nei dintorni si mise a gridare: "a pegua a nu ghe ciù" (la pecora non c'è più). Immediatamente furono organizzate delle squadre per cercare l'ovino scomparso; si doveva procedere col metodo del rastrellamento tedesco. Un gruppo salí verso lo spartiacque, un altro andó giù verso "Brigneiu", un altro ancora ispezionó il bosco, altri, come i vecchi e i bambini guardarono nelle stalle e nei fienili ma della pecora neppure l'ombra. L'unico che non partecipava alle ricerche era il "Picci" rimasto seduto su "na seppa" (un ceppo di legno) a mordere pane e formaggio e a bere vino da una scodella.
Quando le speranze di ritrovare l'animale sembravano scemare arrivò in paese un mulattiere con un paio di bardotti carichi di legna che disse di aver visto, in lontananza, sulla strada per Torriglia, un uomo che trascinava una pecora alla corda. Informato dell'avvistamento l'oste diede mandato a due giovani del posto, muniti di una vecchia moto di marca tedesca, di rintracciarli. Gli incaricati saltarono in sella e al bivio di Donetta raggiunsero i ricercati. Riconobbero subito "Piatin" di Torriglia, persona conosciuta e stimata, chiamato così perché vendeva "piati e laise" (piatti e pentole) nelle fiere di paese.
Alla richiesta di giustificare il possesso della pecora l'uomo dichiarò, molto semplicemente, di averla comprata la sera precedente dal "Picci" e che nel suo pieno diritto se l'era andata a prendere. I ragazzi tornarono indietro a mani vuote e riferirono il contenuto dell'incontro. Su due piedi fu nominata una giuria che interrogò il "Picci" accusato di truffa aggravata per essersi venduto il trofeo prima di averlo conquistato e, ancor peggio, prima dell'inizio della gara. Ovviamente l'imputato si difese negando qualsiasi addebito.
Intanto il pubblico dall'improvvisato ed improbabile processo si divise; seduta stante, in garantisti e forcaioli e venne alle mani. In un baleno volarono schiaffi, pugni e persino bastonate e il campo da bocce si trasformò presto in un ring. Chi interveniva per sedare quel finimondo aveva la peggio: la camicia strappata, all'occhio pesto, alle escoriazioni al volto. L'Alfredo, per salvare la costosa fisarmonica da irreparabili danni dovette nasconderla dentro un pagliaio.
Una rissa senza senso e senza sosta sino a quando da una finestra non vennero sparati alcuni colpi di fucile in aria. Poiché gli spari facevano ancora un certo effetto tornò la calma. A quel punto tutti cercarono di capire dove era finito il "Picci" ma dovettero prendere atto che si era dileguato in compagnia del ronzino e nessuno aveva più la forza e la voglia di inseguirlo.
Su quel teatro che aveva visto la rappresentazione di una festa prima e di un dramma poi scendevano le ombre della sera e, un po' alla volta, i presenti, delusi, stanchi ed ammaccati tornarono a casa.
Iniziava così in quel luogo il secondo dopoguerra, cambiava l'Italia ma non cambiavano gli italiani...
- Ezio Avanzino - (23/12/2010)